Into the Wild: dal film alla realtà

Scelte di vita come queste non sono facili e neppure all’ordine del giorno. Quella del vivere a contatto con la natura senza alcuna relazione con la civiltà, è da sempre un tema che ha affascinato l’uomo di ogni epoca. Emblema di questo pensiero, è senz’altro, giusto per citarne uno, il Chris McCandless descritto dal regista Sean Penn nel film del 2007, Into the Wild.

È un po’ quello che è accaduto anche a Marco, affermato manager e con alle spalle una laurea alla Bocconi. Come il protagonista del film, entrambi questi ragazzi, sono figli di famiglie benestanti che decidono all’improvviso di abbandonare tutto per dedicarsi ad una vita solitaria ed ascetica.

La storia di Marco: da manager a eremita

Partiamo dall’inizio: la vita del giovane Marco cambia completamente nel 2001. Egli stesso afferma di pernottare, all’inizio di questo importante anno, in un lussuosissimo hotel di Manhattan per ritrovarsi poi, solamente pochi mesi più tardi, in una comunità ecologica nelle campagne Toscane dove vi rimarrà per circa 8 anni, prima di dedicarsi completamente alla vita solitaria nelle montagne abruzzesi.

A casa non lo prendono di certo sul serio: parenti e amici credono che si tratti più di un capriccio che di una vera e propria scelta di vita, convinti che un giorno, magari finito l’entusiasmo dell’inizio insieme con i soldi della liquidazione, Marco sarebbe tornato a casa pronto a riprendersi la sua vecchia vita.

Vivere felici da eremiti

Il giovane eremita racconta che il segreto è liberarsi di tutto ciò che è superfluo e che quindi ci condiziona, dando ascolto invece a ciò che veramente ci appaga e ci rende felici: molto spesso queste “cose”, sono rappresentate nient’altro che da una vita semplice e tranquilla fatta di bisogni primari.

Mangiare, bere, coltivare la terra, essere a contatto con essa, godere delle bellezze della natura, seguire la regolarità del ciclo delle stagioni e del susseguirsi di giorno e notte.
Marco si libera da tutto ciò che ha di più superfluo e che lo sottomette a delle volontà che non sono le sue, per perseguire il suo più grande obiettivo: quello di una vita semplice, alla ricerca e soprattutto conoscenza di se stesso.

Una scelta definitiva: non si torna sui propri passi

Marco non rimpiange di certo i vecchi ritmi della routine lavorativa che lui stesso afferma essere un’esperienza di tipo “totalizzante”: il vero problema infatti, non risiedeva nel lavoro in se, bensì nel fatto che, una volta a casa, si rimaneva attaccati e coinvolti nella propria sfera professionale, senza avere a che fare con tutto quello che c’era intorno, senza avere un legame con il proprio ambiente, con il proprio habitat.

È passato ormai tanto tempo da quando Marco ha deciso di cambiare la sua vita: adesso, senza elettricità né comodità, vive alla giornata, fondendosi pienamente con tutto ciò che lo circonda.

Ma il contatto con gli umani rimane comunque tutt’altro che assente: ogni tanto qualcuno lo va a trovare, approfittando così di una bella passeggiata tra le montagne e a volte è Marco stesso che si reca nel paese più vicino per incontrarsi con la comunità locale. Solo un’unica regola: ritornare sempre alla propria solitudine e alla vita individuale.

Un problema ancora molto forte: la fame nel mondo e gli sprechi di cibo

La fame nel mondo è ancora oggi uno dei problemi più grandi che attanagliano la nostra società. È un problema globale, che non ha colore, che non si limita all’Africa nera, ma coinvolge quasi tutti i Paesi, Italia compresa.

Eppure sembrerebbe un paradosso se prendiamo in considerazione l’enorme quantità di cibo che giornalmente non viene consumata andando sprecata, specialmente nei ristoranti o nei supermercati.

Risolvere problemi di questa portata in un solo giorno è impensabile e non percorribile, ma anche pensare che nulla si potrà mai risolvere è un grave errore. Ora finalmente le cose potrebbero cambiare e la strada sembra quella giusta, almeno nel nostro Paese.

La legge antispreco in Italia

L’Italia si è dotata infatti di una norma che regola gli sprechi e che ha l’obiettivo di favorire la donazione delle eccedenze di cibo. La principale categoria di cibo presa in considerazione è quel cibo che non può essere più commercializzato in quanto ha superato la data entro la quale si sarebbero dovuto consumare, ma che non è ancora “davvero scaduto” e quindi sicuro per la salute.

Il nostro Paese ha investito recentemente ben 7 miliardi di euro di risorse per raggiungere, nel giro di dieci anni, un obiettivo che è quello di dimezzare gli sprechi o meglio raddoppiare il numero dei pasti ridistribuiti come donazione.

È importante specificare che delle iniziative volte a tale scopo erano già presenti in precedenza, ma erano ormai impolverate e abbandonate sul piano pratico. Ciò che non rendeva il processo fluido e funzionante era la presenza di pratiche burocratiche che rallentavano l’intero processo a discapito di chi davvero aveva bisogno di cibo. Questi ostacoli sono stati oggi eliminati e questo favorirà senza dubbio la partecipazione di tutti gli attori che si suppone di coinvolgere nel sistema.

Come funziona la nuova legge

Con la nuova norma vigente, coloro che hanno il diritto di cedere e donare sono ristoranti, hotel e supermercati e i riceventi, ovvero coloro che svolgono la funzione di ridistribuire il cibo in avanzo, non sono più soltanto Onlus e servizi commerciali, ma tutti i soggetti economici che promuovono un’attività con finalità sociali.

Inoltre oggi la donazione può essere fatta senza preventivo avvertimento, presentando semplicemente un documento che tracci il prodotto nel suo tragitto ed una dichiarazione conclusiva a fine mese. Questo ha snellito decisamente l’iter e coinvolto i vari soggetti compresi nella norma che non fanno solo un’opera di bene, ma che avranno dei vantaggi anche a livello economico.

Infatti chi dona, può usufruire di agevolazioni fiscali ed ottenere una riduzione sulla tassa dei rifiuti in base alla quantità di cibo donato. Il provvedimento prevede anche una campagna di sensibilizzazione fatta nelle aziende, scuole e ospedali e spot pubblicitari per far arrivare il messaggio direttamente nelle nostre case.

La nuova legge comunque, non si limita al cibo, ma prende in considerazione anche la donazione dei medicinali purché non ancora scaduti e non ancora utilizzati. In definitiva un bel passo in avanti che pone l’Italia allo stesso livello di tutti quei Paesi che da anni ottengono vantaggi dalla donazione del cibo. Basterebbe sensibilizzare il cittadino ad un uso più consapevole delle risorse affinché traguardi apparentemente impossibili possano essere raggiunti.

La vita dopo i social network

È sufficiente possedere un indirizzo mail ed inventarsi una password al volo, poco importa se poi la dimenticheremo. E come per magia ci si entra, una volta per tutte, con poche possibilità di uscirne (ma con moltissime probabilità di restarci dentro).

Non facciamo in tempo a tirar fuori il telefono dalla borsa o dalla tasca dei nostri jeans che il nostro dito quasi involontariamente va lì, su quell’icona del social network. Si entra così in un universo nuovo, in una casa di tutti dove non è obbligatorio chiedere permesso, ma è concessa ad ognuno la possibilità di dire ciò che si pensa, elemento purtroppo molte volte controproducente.

Un processo fin troppo facile per accedere ad una realtà parallela rispetto a quello dove viviamo. Un mondo che non si nutre di cibo, ma di post, dove i fatti non accadono in diverse parti del mondo irraggiungibili, ma scorrono obliquamente su un’unica pagina di uno schermo fisso.

Una questione di comunicazione globale

Questa è in sintesi la rete sociale, una ragnatela di notizie, eventi, avvenimenti, pensieri e quant’altro che unisce milioni di persone provenienti da tutti gli angoli del mondo. Nati principalmente come siti volti allo scambio di contenuti, siano essi messaggi o video, i social network abbracciano molte sfere della nostra vita sociale. Li usiamo per scriverci e chiamare, per vedere foto e video, per cercare lavoro o per trovare l’anima gemella.

I social hanno e stanno continuando ad abbattere barriere fisiche e culturali, da la possibilità a miliardi di giovani di stare in contatto giornalmente senza limiti e ha sensibilizzato di più il mondo soprattutto in tema sociale, dove i problemi ed i fatti, una volta condivisi, attivano un processo globale.

I social network hanno però avuto un effetto devastante sulla comunicazione alla pari di altri elementi rivoluzionari come la televisione, la radio o il telefono. Soprattutto tra le nuove generazioni, l’avvento dei social ha scoraggiato l’uso di chiamate, mail, lettere o messaggi di testo a favore di messaggi istantanei o messaggi attraverso social network.

Messaggi pubblici da postare in bacheca o messaggi brevi, diretti a cui dare una risposta immediata dopo averli “visualizzati” a tale ora di tale giorno. È cambiato il ritmo della comunicazione, grazie alla possibilità di messaggiare istantaneamente, ed è mutato lo stile, molto più diretto e meno formale.

(Dis)connessione col mondo

I social, per la loro importanza che hanno nella vita della gente, sono diventati un elemento essenziale da consultare in ogni momento della giornata e in qualunque luogo. Aspettare di tornare a casa, accendere il computer, attendere che sia pronto ed inserire le credenziali è un processo ormai dimenticato.

Ora dal nostro telefono possiamo accedere al nostro social con un semplice click grazie alle App. Da qui nasce l’esigenza di avere non un semplice telefono per messaggi e chiamate ma uno smartphone grande, luminoso, potente, in grado di supportare le nostre esigenze e di farci godere delle App e del mondo sociale.

È cambiata anche la curiosità che è stata letteralmente abbattuta ed il valore della condivisione. Grazie al social posso sapere dove il mio amico sta facendo pranzo, dove è andato in vacanza la mia insegnante di yoga, rendendo così inesistente l’effetto sorpresa e carico di adrenalina di un racconto a voce. Insomma, la vita dopo i social è, senza ombra di dubbio, una vita meno sociale.

Cocco: mille usi e proprietà

Estate, temperatura cocente, spiaggia sabbiosa: ecco cosa ci viene in mente quando pensiamo alla noce di cocco, frutto della palma di cocco, coltivata in tutti i Paesi tropicali del mondo.

La noce di cocco non dà vita soltanto a quella polpa bianca da mangiare o a quell’acqua dissetante bevuta per rinfrescare le nostre calde giornate estive. Dalla noce di cocco si ricava anche un olio, l’olio di cocco, sostanza vegetale che trova uso ed applicazione in vari settori della nostra vita.

Olio di cocco: dall’estrazione al consumo

Ma l’olio di cocco si usa per cucinare come l’olio di oliva? O lo troviamo nei cibi come l’olio di palma? Avete ragione, l’offerta di oli sul mercato è così ampia che non riusciamo più a distinguere la differenza. La confusione è legittima, ma è bene soffermarci e fare chiarezza su ciò che questo prodotto vegetale è.

L’olio di cocco è un olio derivante dal processo di essiccazione della polpa della noce di cocco. Una volta che la noce è matura e può essere prelevata dalla pianta, la polpa viene prima lasciata essiccare e poi, una volta seccata, pressata, rilasciando questo olio biancastro decisamente meno liquido rispetto agli oli che siamo abituati a vedere nelle nostre case.

Una fama acquisita solo negli ultimi anni

Tradizionalmente usato da case farmaceutiche e produttori di cosmetici, l’olio di cocco sta tornando alla ribalta dopo che nei secoli scorsi era stato un trascurato e sconsigliato da nutrizionisti e esperti del settore.

Questa azione discriminatoria era basata sul fatto che tale olio è costituito da grassi saturi che si distinguono da quelli insaturi, considerati benefici e migliori per la nostra salute.

Questa tesi è stata ribaltata da studi e ricerche che dimostrano che l’olio di cocco presenta sì grassi saturi, ma solo quelli a media catena ossia grassi facili da assimilare ed immediatamente disponibili per il nostro organismo a differenza di quelli a lunga catena, meno assimilabili e più difficili da trasformare in energia disponibile.

Le proprietà di questo prezioso olio

Nello specifico l’olio di cocco contiene molte vitamine, la E in particolare, ed apporta una quantità elevata di acido laurico, toccasana per l’organismo umano in quanto combatte microbi, herpes e influenza. Inoltre, facilitando l’assorbimento di calcio e potassio, ha benefici per le ossa e per i denti.

È da questo momento che l’olio di cocco ha cominciato a riempire gli scaffali dei nostri supermercati ed è ormai un elemento integrante della rivoluzione “green”. L’olio di cocco ha infatti svariati benefici ed usi in diversi ambiti.

Può essere utilizzato come prodotto di bellezza: grazie alle sue proprietà idratanti può essere applicato su corpo e viso e capelli, nutrendoli e rendendoli morbidi come un balsamo. In cucina, soprattutto nei Paesi tropicali, l’olio di cocco è un valido sostituto dell’olio di oliva, non solo per la sua ampia disponibilità, ma anche per la sua riconosciuta capacità di accelerare il metabolismo.

L’olio di cocco va a sostituire anche l’olio di arachidi, comunemente usato dalle aziende dolciarie. Infine, per i suoi effetti purificanti e disinfettanti, può essere usato al posto del colluttorio, combattendo placca e carie e favorendo l’igiene orale.

Tutta un’altra musica con i speaker portatili

L’avvento dell’era digitale ha contribuito a cambiare non solo il modo in cui comunichiamo, ma anche le nostre abitudini musicali. Si è evoluto il modo in cui ci si approccia alla musica.

Non più radio o canali televisivi dedicati, ma canzoni a portata di clic, sul nostro lettore musicale o sul nostro smartphone. Non ci si accontenta più di ascoltare ciò che “passano alla radio”, ma attraverso le playlists personalizzate, è possibile riprodurre solo i brani esattamente voluti in quel preciso istante.

L’avvento degli speaker portatili

Non ci si accontenta neanche più di ascoltare musica solo in casa o in automobile, ma si vuole ascoltare musica ovunque si vada ed indipendentemente da cosa si sta facendo. Da qui nasce il bisogno di uno speaker portatile, altoparlante di piccole dimensioni che può essere trasportato ovunque. La musica è un linguaggio, e come ogni linguaggio c’è il piacere di condividerla.

Con lo speaker portatile è possibile riprodurre brani musicali e ascoltarli con i propri amici, risolvendo il limite di quei diffusori riservati ad un uso singolo come gli auricolari o le cuffie.

I vantaggi degli speaker portatili sono innumerevoli. Oltre ad essere piccoli e quindi poco ingombranti, essi sono leggeri, utilizzabili in ambienti chiusi e all’aria aperta e sono caratterizzati da un’ottima qualità del suono audio riprodotto.

Dal filo al Bluethooth

Tradizionalmente, gli speakers necessitavano di un cavo per connettersi al dispositivo multimediale utilizzato. Attualmente invece, gli speaker più popolari sono quelli Bluetooth che danno la possibilità di ascoltare la musica del vostro tablet o smartphone senza un collegamento fisico.

Questa tecnica, che assicura una qualità del suono migliore, è basa sulla tecnologia Bluetooth, un sistema che consente a due dispositivi di comunicare senza fili. È bene distinguere speaker Bluetooth da speaker W-Fi.

Quest’ultimi infatti si distinguono dai primi in quanto necessitano solitamente di una posizione fissa e richiedono la presenza di dispositivi aggiuntivi, come un router, in grado di favorire il collegamento tra dispositivo e speaker.

Gli speaker Bluetooth presenti sul mercato hanno diverse forme, peso e caratteristiche tecniche. Generalmente speaker di dimensioni maggiori, sono meno pratici di quelli più piccoli, ma riproducono un suono qualitativamente migliore. I più performanti sono dotati di un subwoofer e di due canali stereo.

Acquistare uno speaker: consigli utili

Al momento dell’acquisto, in base a quelle che sono le vostre esigenze di ascolto e volume, è importante controllare qual è la potenza del suono del dispositivo che state scegliendo. Tale potenza, che viene misurata in watt (RMS), è solitamente di 15W RMS per un piccolo ma buono altoparlante, mentre si aggira intorno ai 100W RMS per quelli di dimensioni maggiori.

Un’altra variabile da considerare è la batteria, la cui potenza incide sul tempo di riproduzione del vostro speaker: essa viene indicata in milliampere. Speaker più semplici hanno in media 1400mAh e posso durare al massimo un paio d’ore mentre gli altoparlanti più grandi, dotati di 4400mAh, possono assicurare fino a 10 ore di musica senza interruzioni.

Tra le caratteristiche tecniche dei più moderni speakers, la più importante, risulta essere la presenza di una porta microUSB che consente di utilizzare caricabatteria portatili per non rimanere mai, senza speaker…e senza musica!

Da grande voglio fare l’agricoltore…

C’è un ridimensionamento in atto che non conosce crisi. Un nuovo modo di concepire la ricchezza e l’importanza dei valori nei frutti della terra.
È pressoché innegabile che quando si insegna a scuola, le attività del settore primario vengono quasi del tutto trascurate. Addirittura non rilevanti se paragonate alle più economicamente importanti attività industriali e tecnologiche.

Ed è così che i piccoli sognano di diventare grandi ingegneri, scienziati o dirigenti di livello. Quasi una scelta obbligata, una regola non scritta che però conduce verso una sola direzione escludendo tutto il resto.

Tuttavia oggi, a causa della crisi e della necessità di procurarsi da vivere con quello che si ha, c’è un nuovo modo di approcciare alle cose che sta coinvolgendo soprattutto i giovani. Ragazzi compresi tra i 18 anni ed i 40 anni di età hanno ricominciato a ripopolare quel luogo periferico, ma ancora ospitale, chiamato campagna.

Un flusso migratorio inverso rispetto a quello che aveva visto protagonisti i giovani del dopoguerra spostarsi verso le città e verso i grandi poli produttivi. Un movimento che sta prendendo sempre più popolarità non solo per bisogno, ma anche per tendenza e per una maggiore attenzione verso ciò che mangiamo. Una maggiore ricerca del cibo di qualità non solo come curiosità ma come scelta di una vita sana.

Una consapevolezza accompagnata da tecniche di lavoro sempre più nuove e da mezzi tecnologici senza confini che rendono questo business, un’attività “social”. In questo modo l’agricoltura sta accelerando il passo scrollandosi di dosso la nomina di arte antica e destinata ai “nonni”. Si sta assistendo ad un vero e proprio passaggio di consegne che vede i giovani ereditare un patrimonio importante e vitale per il nostro Paese.

… e lo Stato mi da una mano

Lo stato e le associazioni di riferimento stanno facendo la loro parte per contribuire al fenomeno attraverso incentivi economici. Sono infatti molti i bandi che hanno l’obiettivo di finanziare i giovani sia per l’inizio che per tutto lo della loro attività agricola. Si tratta da un lato di finanziamenti sotto forma di denaro e dall’altro di macchinari che vengono assegnati in base a dei criteri da rispettare.

L’età dei ragazzi deve essere compresa tra i 18 ed i 39 anni, l’attività deve essere supportata da un business plan della durata minima di cinque anni, e l’imprenditore agricolo deve avere dei requisiti tali da poter accedere ad un mutuo. Un beneficio non da poco che non è la ragione fondamentale, ma comunque un buon incentivo per riportare definitivamente l’agricoltura italiana ai livelli che gli competono.

Una spinta necessaria per potenziare il settore in termini di dinamicità, efficienza e diversificazione dell’offerta a cui si affianca una gestione aziendale migliore, più studiata e decisamente più fresca.

Non resta che rimboccarsi le maniche e cominciare: i presupposti sono ottimi e i primi frutti sono visibili già tutt’ora non solo in termini occupazionali (+15%) ma anche soprattutto a livello di qualità del raccolto sempre più orientato verso il versante bio. Giovani agricoltori che sanno cosa mangiano!

Una triste fuga dei cervelli italiani

Come una mamma che fa nascere un figlio, lo educa, lo istruisce e poi lo abbandona. È questo il quadro che può idealmente parafrasare la situazione dei giovani italiani di oggi. Formati ed istruiti in importanti scuole e università del bel Paese sono lasciati andar via troppo spesso e troppo facilmente, senza alcuna resistenza.

Si scrive “fuga”, ma si legge “opportunità”, quella che questi giovani “cervelli” sanno cogliere al volo, stanchi di qualche stage di troppo o di un sistema che stenta a dargli responsabilità fin da subito, appena usciti da scuola. Opportunità che si tramutano in scelte di vita, affrontate senza paura e senza rimorsi, ma con la consapevolezza di essere in grado di affrontare nuove sfide lasciandosi alle spalle un paese che manca di reali opportunità.

Un mondo (del lavoro) interconnesso

Tutto questo è stato reso molto più facile dal modo in cui oggi è possibile cercare e conseguire lavoro: il nuovo modus operandi punta sempre più sui social network grazie ai quali il tuo CV può arrivare in ogni angolo della terra. È cambiata anche la mentalità del giovane laureato che, dotato di una mobilità superiore rispetto al passato, non fa alcuna differenza a lavorare in un ufficio a Roma o a New York.

Un vero “esodo” di cervelli

Mentre prima erano solo episodi sporadici e limitati ad una ristretta cerchia di giovani, ora si sta assistendo ad un vero e proprio esodo. I dati dimostrano che queste fughe non sono solo passeggere e non si limitano ad una esperienza internazionale, ma anzi questa mobilità porta spesso ad uno stanziamento più duraturo.

Attualmente secondo i dati indicativi, più di trentamila giovani laureati vivono attualmente all’estero e quasi tremila dottori/ricercatori all’anno varcano il confine in uscita ospitati principalmente dagli altri Paesi Europei e oltreoceano, USA e Brasile in primis.

In che modo la fuga di cervelli è negativa per il Paese

Questo è preoccupante principalmente sotto due punti di vista. Sotto il lato della popolazione, l’Italia è un Paese considerato “vecchio” e con un tasso di crescita tra i più bassi d’Europa. Questo andamento non fa altro che opporsi al ricambio generazionale stroncato da giovani che preferiscono costruirsi un futuro lontani dai confini nazionali.

Soprattutto, dal punto di vista economico, c’è una perdita non quantificabile di talento e risorse. Capacità che i ragazzi sanno e sapranno esprimere altrove beneficiando quindi dei servizi di altri Paesi. Uno spreco senza precedenti di coloro che si presupponeva essere il muro portante dell’Italia del futuro, ma che ora sono il motore di un’economia straniera, non nostra.

Alla base di questo trend non ci sono necessariamente soltanto ragioni di carattere economico ma soprattutto ragioni umane. I giovani hanno bisogno di sentirsi ascoltati, di essere apprezzati per quello che sono e per ciò che hanno costruito prima di affacciarsi al mondo del lavoro. Vorrebbero avere l’opportunità di mettere in pratica le loro potenzialità e le loro conoscenze fresche ed innovative.

on tutto può essere giustificabile con un “c’è crisi”. È senza dubbio innegabile che non si sta attraversando uno dei periodi più prosperi della storia dell’economia mondiale, ma si sta correndo il rischio di trasformare un problema in un alibi. Affianco ad una crisi economica c’è indubbiamente una crisi di apertura di coloro che fanno ancora difficoltà a prendersi dei rischi.

Aloe vera: un medicinale di Madre Natura

Sfiamma. Depura. Disinfetta. Nutre. Purifica ed idrata. Eppure non stiamo parlando di un medicinale ma di una pianta: l’aloe. Coltivata principalmente in Sudamerica, Africa, India e Australia, questa pianta grassa necessita di un clima caldo e secco per sopravvivere dando vita a una moltitudine di varietà.

L’aloe nella storia

La specie più conosciuta è senza dubbio l’aloe vera, il cui beneficio ed utilizzo è stato tramandato nel tempo in diverse parti del mondo. Già conosciuta ai tempi degli Egizi che la utilizzavano per la tecnica dell’imbalsamazione, l’aloe vera si diffonde a livello globale solo nella seconda metà del ‘900 quando i primi studi testimoniarono con risultati scientifici quella che era stata considerata fino a poco prima solo un’usanza popolare.

Da quel momento l’uso dell’aloe vera si intensifica, trovando inizialmente applicazione soprattutto in ambito medico come ingrediente per la realizzazione creme idratanti e disinfettanti.

Le proprietà dell’aloe vera

L’aloe vera contiene molte proprietà nutrienti in quanto contiene carboidrati, vitamina A, vitamina C, aminoacidi, sali minerali e zuccheri naturali. È questa la ragione per cui attualmente l’aloe vera è utilizzata in molti ambiti non limitandosi solo a quello medico.

È bene infatti specificare che l’aloe vera è presente sul mercato sotto due tipi di forme: gel e succo. Entrambe, sono il risultato di un processo manuale di estrazione dell’aloe dalle foglie della pianta. Il gel è destinato ad un uso esterno, per i suoi benefici idratanti, mentre il succo funge da bevanda depurando organismo, intestino, apparato digerente svolgendo il ruolo di antibiotico naturale.

L’aloe in casa propria

Ma lo sapevate che è possibile coltivare l’aloe vera persino in casa? Ebbene sì, un ulteriore vantaggio che questa pianta ha, è che può crescere facilmente purché vengano rispettate alcune procedure. L’elemento fondamentale da considerare è la temperatura esterna, dal momento che la pianta preferisce un clima caldo e non sopporta climi sotto lo zero.

Dopodiché basta munirsi di un vaso largo con buchi sul fondo per far drenare l’acqua e, partendo dal basso, riempirlo con un po’ di argilla, molta sabbia e un po’ di terra normale. Dopo che l’aloe è stata piantata e le radici si sono stabilizzate, è importante tenere in mente che, essendo una pianta grassa, l’aloe non richiede di essere annaffiata soventemente: ha solo bisogno di un ambiente luminoso.

Per consentire una crescita naturale e spontanea l’unica operazione da fare è quella di staccare le foglie secche man mano che la pianta cresce, in modo da avere fiori gialli pronti per essere raccolti, a mano naturalmente vista la conformazione della pianta.

Per consentire al gel e al succo di avere le proprietà giuste ed efficaci, la pianta di aloe deve avere almeno due o tre anni, periodo dopo il quale tale pianta viene definita matura e portatrice di benefici.

Una volta che avete raccolto la foglia dalla pianta, basterà tagliare la parte esterna della foglia stessa ed estrarre il gel interno aiutandosi con un cucchiaio ed il gioco è fatto. Potete finalmente utilizzare la vostra aloe vera: per i capelli o per il viso, per un drink salutare o come disinfettante…sta a te decidere come!

Pascal Poot: una scoperta incredibile

Non è sempre facile definire a cosa sia riconducibile una scoperta. Talvolta è uno sbaglio, talvolta una pura casualità, altre volte un colpo di genio mai visto prima. La storia di Pascal Poot e la sua incredibile scoperta, ha alla base molti elementi, primi tra tutti pazienza e tenacia.

Proveniente dal sud della Francia, questo agricoltore ha saputo sviluppare una tecnica di coltivazione la cui peculiarità è la totale assenza di acqua, oltre che pesticidi ovviamente. Una di quelle scoperte che abbiamo il bisogno di vedere per credere, tanto si discostano da quello che siamo abituati a pensare o da quello che abbiamo studiato dai libri di biologia.

Esperienza e passione: l’agricoltura senz’acqua di Pascal Poot

Alla base della riuscita di questo esperimento c’è una accurata conoscenza e osservazione del clima e della morfologia del luogo dove Pascal vive, caratterizzato da un clima asciutto ed un terreno arido e roccioso. Secondo il suo punto di vista, gli ortaggi di oggi non riescono ad adattarsi in modo naturale all’ambiente in cui si trovano in quanto si tende sempre a proteggerli troppo.

Al contrario, le erbacce sono meno vulnerabili e sono naturalmente più resistenti in quanto si adattano ad ogni condizione climatica. Il vero segreto sta però nei semi che l’uomo coltiva, semi che ha saputo sviluppare con pazienza e osservazione.

Partendo vent’anni fa con poche piante di pomodoro che davano alla luce frutti inutilizzabili, di anno in anno Pascal ha raccolto i semi per ripiantarli l’anno successivo. Sfruttando soltanto l’adattamento delle piante e senza ricorrere ad alcuno aiuto chimico esterno, l’agricoltore ha potuto così osservare che, con il passare degli anni, le piante davano vita ad una quantità di pomodori sempre maggiore.

Con tempo e cura, un risultato incredibile

Dalle poche unità prodotte all’inizio del metodo, oggi le piante di Pascal possono produrre fino a 25kg di pomodori ciascuna. Inoltre, la scoperta è rivoluzionaria anche dal sotto l’aspetto qualitativo, in quanto si riescono a sviluppare quasi 400 varietà diverse di un prodotto sano e naturale. Un raccolto abbondante e biologico che nemmeno le tecniche di coltivazione più moderne possono vantare.

Nonostante lo scetticismo iniziale che questa tecnica ha suscitato quando fu intrapresa per la prima volta, oggi i risultati danno ragione all’agricoltore francese. Il raccolto abbondante e biologico, ha attirato in Francia molti agricoltori e curiosi per conoscere di più circa la praticabilità del metodo Pascal.

Verdura non standardizzata ma naturale, proprio come terreno e pianta preferisccono. Un gusto invidiabile e non comune alle altre tipologie di prodotto presenti sul mercato. Un frutto sano e naturale con una provenienza ben precisa. Un risparmio di energia fisica e soprattutto di acqua, non quantificabile in termini monetari. È per questo che oggi, grazie anche all’approvazione scientifica ottenuta da molti biologi e ricercatori, Pascal è un punto di riferimento per l’agricoltura biologica non solo francese ma di tutto il mondo.

Che il metodo Pascal sia di buon auspicio per il mondo dell’agricoltura in generale. Infatti non è sufficiente saper piantare un seme o raccogliere il frutto, ma è essenziale una competenza specifica basata sulla tecnica di osservazione e sulla capacità di adattamento, soprattutto in questo momento di trasformazioni climatiche e ambientali.

Auto elettrica: una storia lunga generazioni

Chi pensa che l’auto elettrica sia una novità del nuovo millennio si sbaglia di grosso. È nella Scozia di metà Ottocento che un imprenditore di nome Robert Anderson dà vita alla prima vettura a batteria. Detta anche B.E.V. (Battery Electric Vehicle) o Z.E.V (Zero Emission Vehicle), questo tipo di autovettura si serve di un motore elettrico alimentato da una batteria ricaricabile mediante elettricità.

Tale elettricità può derivare da diverse fonti, a seconda delle scelte del Paese e a seconda della disponibilità: dal gas naturale all’olio combustibile, dall’energia idroelettrica a quella naturale. Le auto elettriche non sono quindi veicoli a propulsione, ma non vanno nemmeno confuse i veicoli ibridi. A differenza delle vetture totalmente elettriche, le vetture ibride montano anche un motore a combustione e quindi sono soltanto parzialmente elettriche.

Aggirano il problema e non lo risolvono completamente. Di fronte al prezzo benzina che schizza alle stelle e un costo di gas e metano che sta anch’esso aumentando progressivamente, il trend si sta indirizzando verso le auto elettriche che rappresentano una vera e propria svolta in termini di consumi con un risparmio totale del carburante.

Più vantaggi, più diritti

Quali sono i vantaggi di un’auto elettrica rispetto ad una vettura a motore? Per prima cosa l’efficienza energetica. A causa della diminuzione delle frizioni interne, l’efficienza di un motore elettrico ha un’efficienza che si aggira intorno al 90%, a confronto delle auto a benzina o a diesel che hanno un’efficienza che si attesta tra il 25% ed il 40%.

Dal punto di vista ambientale la vettura a batteria non produce smog e non contribuisce nemmeno all’inquinamento sonoro, essendo silenziosissima a differenza di una macchina normale. Inoltre, la batteria può essere riciclata e, in caso di incidente, non tende a bruciare per l’incolumità dell’ecosistema e dei passeggeri.

I possessori di macchine elettriche godranno anche di molti più diritti rispetto agli altri guidatori. Sarà loro concesso infatti, parcheggiare su posti riservati, procedere nelle corsie riservate a bus e taxi ed ottenere agevolazioni fiscali, come sul pagamento del bollo.

La lunga strada verso la competitività

Sembrerebbe davvero la soluzione del futuro. Eppure c’è qualcosa che ancora frena il consumatore nell’acquisto. Tutto ruota intorno alla batteria, la cui qualità incide sull’autonomia della macchina, sulla velocità del mezzo e sul tempo di ricarica della stessa. La batteria non è illimitata e soprattutto costa. Più la batteria è performante, più il prezzo sarà maggiore: si parte da batterie da mille euro fino a batterie da centinaia di migliaia di euro.

Negli ultimi anni, grazie ai progressi fatti in termini di batteria per telefoni e computer, il prezzo delle batterie della vetture elettriche sta diventando competitivo e questo consentirà in futuro di aggirare il problema dell’oneroso investimento iniziale. Un’attenzione particolare va data all’autonomia della ricarica che influenza il numero delle volte si deve fare “rifornimento”.

Se fino a ieri ci si impiegava almeno un’ora, ultimamente alcune compagnie hanno inaugurato nelle principali città europee delle colonnine dette “rapide” che consentono di fare un “pieno di energia” con meno di mezz’ora. In Europa i Paesi “leader” nell’uso dell’auto elettrica sono quelli con una spiccata cultura ambientale come Norvegia ed Olanda.

In Italia, solo negli ultimi anni ci si sta orientando sul concreto utilizzo di questa vettura e si sta progettando una rete di infrastrutture tali da rendere la circolazione di auto elettriche possibili. La nuova sfida ha l’obiettivo di impiantare su tutta la rete autostradale 20000 colonnine rapide nel giro di due anni.