Una triste fuga dei cervelli italiani

Come una mamma che fa nascere un figlio, lo educa, lo istruisce e poi lo abbandona. È questo il quadro che può idealmente parafrasare la situazione dei giovani italiani di oggi. Formati ed istruiti in importanti scuole e università del bel Paese sono lasciati andar via troppo spesso e troppo facilmente, senza alcuna resistenza.

Si scrive “fuga”, ma si legge “opportunità”, quella che questi giovani “cervelli” sanno cogliere al volo, stanchi di qualche stage di troppo o di un sistema che stenta a dargli responsabilità fin da subito, appena usciti da scuola. Opportunità che si tramutano in scelte di vita, affrontate senza paura e senza rimorsi, ma con la consapevolezza di essere in grado di affrontare nuove sfide lasciandosi alle spalle un paese che manca di reali opportunità.

Un mondo (del lavoro) interconnesso

Tutto questo è stato reso molto più facile dal modo in cui oggi è possibile cercare e conseguire lavoro: il nuovo modus operandi punta sempre più sui social network grazie ai quali il tuo CV può arrivare in ogni angolo della terra. È cambiata anche la mentalità del giovane laureato che, dotato di una mobilità superiore rispetto al passato, non fa alcuna differenza a lavorare in un ufficio a Roma o a New York.

Un vero “esodo” di cervelli

Mentre prima erano solo episodi sporadici e limitati ad una ristretta cerchia di giovani, ora si sta assistendo ad un vero e proprio esodo. I dati dimostrano che queste fughe non sono solo passeggere e non si limitano ad una esperienza internazionale, ma anzi questa mobilità porta spesso ad uno stanziamento più duraturo.

Attualmente secondo i dati indicativi, più di trentamila giovani laureati vivono attualmente all’estero e quasi tremila dottori/ricercatori all’anno varcano il confine in uscita ospitati principalmente dagli altri Paesi Europei e oltreoceano, USA e Brasile in primis.

In che modo la fuga di cervelli è negativa per il Paese

Questo è preoccupante principalmente sotto due punti di vista. Sotto il lato della popolazione, l’Italia è un Paese considerato “vecchio” e con un tasso di crescita tra i più bassi d’Europa. Questo andamento non fa altro che opporsi al ricambio generazionale stroncato da giovani che preferiscono costruirsi un futuro lontani dai confini nazionali.

Soprattutto, dal punto di vista economico, c’è una perdita non quantificabile di talento e risorse. Capacità che i ragazzi sanno e sapranno esprimere altrove beneficiando quindi dei servizi di altri Paesi. Uno spreco senza precedenti di coloro che si presupponeva essere il muro portante dell’Italia del futuro, ma che ora sono il motore di un’economia straniera, non nostra.

Alla base di questo trend non ci sono necessariamente soltanto ragioni di carattere economico ma soprattutto ragioni umane. I giovani hanno bisogno di sentirsi ascoltati, di essere apprezzati per quello che sono e per ciò che hanno costruito prima di affacciarsi al mondo del lavoro. Vorrebbero avere l’opportunità di mettere in pratica le loro potenzialità e le loro conoscenze fresche ed innovative.

on tutto può essere giustificabile con un “c’è crisi”. È senza dubbio innegabile che non si sta attraversando uno dei periodi più prosperi della storia dell’economia mondiale, ma si sta correndo il rischio di trasformare un problema in un alibi. Affianco ad una crisi economica c’è indubbiamente una crisi di apertura di coloro che fanno ancora difficoltà a prendersi dei rischi.